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La bucolica

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SALVATORE SOLINAS

 

 

 

 

 

 

 

 

LA BUCOLICA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

RECITATIVO

 

 

 

 

 

 

 

Melibeo: Beato te, Titiro, che te ne stai pacifico all’ombra della tenda nella tua terrazza e tormenti le corde della chitarra con le melodie della nostra giovinezza, mentre tua moglie in cucina prepara per te una sostanziosa cena, e quando è ora ti siederai a tavola imbandita.  

Io invece lascio l’appartamento che fu di mio nonno e poi di mio padre.  Ora una tassa iniqua mi costringe a vendere la casa.  Dimmi tu per chi ho imbiancato le mura, per chi ho rinnovato il pavimento e le mattonelle del bagno. Proprio un mese fa in cucina, marcito, zampillava un tubo sotto il pavimento. Ho dovuto assoldare il muratore e l’idraulico e non ti dico la polvere e le macerie. Per chi tutto questo? Col ricavato della vendita e la misera pensione potrò appena pagare il ricovero. Ho lasciato tutto. Porto con me soltanto la biancheria, un capoto per l’inverno e questo vecchio transistor, per ascoltare in solitudine i notiziari della radio. Comune e Stato concordi, come due lupi affamati, hanno azzannato le mie sostanze ed io cervo inerme mi rifugio nella tana dell’orso. Non ho scampo. Morirò di sicuro, se non di fame di crepacuore.

 

Titiro: Melibeo, amico mio, sono trascorsi due anni da quando accompagnai la mia Ninetta al cimitero. Ora una moldava formosa prepara per me deliziosi manicaretti, lava la biancheria e stira le camice.  A causa di lei rimpiango la giovinezza e il vigore sessuale di cui la tarda età mi ha privato. Da quando Marika abita la mia casa, sono lieti i miei giorni.

 

 

Melibeo: O Titiro donde proviene il tuo stato sereno? Eppure la tua pensione non è differente dalla mia. Per quaranta anni abbiamo guidato i treni sotto la canicola estiva, e d’inverno attraverso i fortunali. Mentre le mogli dormivano nei letti deserti, noi scrutavamo il binario alla fiocca luce della luna.  La tua Ninetta t’è rimasta fedele, Amarilli invece…un giorno che rientrai prima dell’alba trovai il mio letto occupato da un nigeriano di statura il triplo della mia. Che cosa potevo dire o fare davanti a quel colosso di bronzo? Amarilli se ne andò con lui ed io rimasi solo. La mia vita è passata senza la gioia di un figlio, senza un nipote. Ora anche questa sventura… credo che il mio cuore scoppierà dal dolore. Rispondi dunque alla mia domanda! Com’è che tu rimani nella casa che ti ha visto nascere, mentre tanti di noi sono costretti alla mestizia dell’ospizio?

 

 

Titiro: Sempre Melibeo ricorderò nelle preghiere l’uomo che mi diede un così giusto consiglio, che mi permise di rimanere nella mia casa, di salutare dal terrazzo quelli del quartiere che passano per strada, i miei amici, i loro figlioli che tutti conosco per nome, e a sera, quando la calura cede il passo al fresco,  osservare i bambini che giocano a calcetto, ascoltare le loro voci come gridi di rondini nel campetto dove pure noi giocammo,  seduto sulla stessa panchina su cui sedettero i nostri nonni,  e una  dolce tristezza mi coglie. I ricordi mi sono attorno: ogni strada, ogni piazza, pure i vicoli bui, dove mai penetra il sole, hanno visto i nostri giochi spensierati. Se il Destino non ci ha dato una prole, almeno ci conceda di invecchiare tra le mura della nostra casa dove ogni oggetto ci parla e noi parliamo a loro con affetto.

Ora tu vai. A questo ci hanno portato la corruzione, e la cattiva politica, ma a chi dare la colpa se non a noi stessi?

 

Melibeo: Chi sarebbe dunque quest’uomo e dove lo hai conosciuto? Non che io voglia incontrarlo. Ormai nessun interesse mi spingerebbe a fare la sua conoscenza, infatti l’appartamento non è più mio da quando ho posto la firma davanti al notaio.

 

Titiro: Proprio un notaio è lui. Grande uomo cui devo la felicità dei miei ultimi giorni!

 

 

Melibeo: Parli come se tu debba morire domani. Forse non stai bene di salute? Forse una grave malattia mina la tua esistenza? Oppure ti costringe a parlare in questo modo l’insicurezza propria della vecchiaia che ci ha reso tanto fragili?

 

Titiro: No, niente di tutto questo. O meglio, certamente mi pesano enormemente il gran numero di anni ammucchiati e non c’è istante della giornata che non rimpianga i giorni della giovinezza.

 

 

Melibeo: Se sei triste tu, cosa dovrei dire io che attendo il pulmino giallo dell’ospizio che mi porterà ai margini della città, nella campagna maleodorante di medicinali e concimi. Amico mio temo che non ci rivedremo mai più.

 

Titiro: Non essere così pessimista Melibeo. In fin dei conti vai a tavola imbandita. La televisione e il gioco della dama non ti mancheranno a ogni ora del giorno. E la visione lieta della campagna verdeggiante, il gioco delle rondini e dei passeri inebrierà i tuoi occhi più di qualsiasi boccale di birra all’osteria di Graziano.

Ti dicevo che fu un giovane notaio a consigliarmi di vendere la casa senza per questo andare via. Si dice, in nuda proprietà, mi pare. E fu lui a trovare una coppia di sposi, Dio li benedica, disposti a comprarla. Grazie a quei soldi e alla pensione posso vivere sereno tra le mura domestiche.

 

 

Melibeo: Non ho mai sentito parlare di questa proprietà ignuda. Tu dunque staresti nella tua casa che non è più tua?

 

Titiro: Esatto! O meglio, la casa è mia finché vivo. Quando sarò morto, loro diverranno padroni; ma una volta che sarò polvere o spirito nel mondo dei morti, cosa potrà importarmi di quest’appartamento, di questa città che ora m’è tanto cara al punto che non potrei lasciarla senza morire di crepacuore? Ora posso stare sereno tra le mie cose e questo mi basta. Ogni domenica quei bravi giovani vengono a trovarmi, e con premura degna di figli mi domandano di cosa ho bisogno, se ho un desiderio che essi possano esaudire e quale sia il mio stato di salute.

 

Melibeo: Oh ingenuo amico mio! Perché non vedi ciò che è evidentissimo. Quei due perfidi vengono a te ogni domenica per controllare se sei ancora in vita. Essi temono che qualcuno, la tua donna, un parente, finga te vivo per abitare ancora l’appartamento. Il loro cuore di vipere desidera ogni istante che ti venga un malanno che ti conduca rapidamente in cimitero. Dai retta a me: metti vicino al letto una statua della Madonna, di quelle fosforescenti, e figure di santi in ogni stanza. Ho paura che forze occulte, suscitate dal desiderio scellerato di quei due, possano nuocerti.

 

Titiro: Melibeo, tu parli così perché sei un poco invidioso. Nella mia casa tranquillo trascorrerò la vecchiaia, riposerò ogni notte nel mio letto, tu invece, in un’anonima stanza, passerai notti insonni su un letto che non è tuo, contando i nodi del materasso. Povero amico mio, se mi avessi domandato consiglio prima di vendere il tuo bene!

 

 

Melibeo: Caro Titiro, troppo prostrato è il mio spirito per nutrire un sentimento così vigoroso qual è l’invidia. No, non t’invidio. Ti ammiro anzi, e ringrazio la signora fortuna che fra tante case ha baciato la tua.

Goditi i giorni che ti rimangono nell’intimità familiare e che questa donna, come si chiama? Marika, ti faccia felice.

 

 

Titiro: Fermati a cena con noi. All’ospizio potrai andarci domani. Marika ha preparato un ottimo coniglio al forno con patate novelle, e il vino rosso non manca mai sulla tavola.

Rimani con noi ora che è scesa la sera. I palazzi hanno dischiuso le azzurre palpebre, sui viali sono comparse le lucciole e la mesta faccia della luna sovrasta il tetto della cattedrale.

 

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